Wang Shu, designer-artigiano: “L’architettura
cinese deve far interagire tradizione e modernità”


	
 L'architetto, primo nel suo paese a vincere il premio Pritzker, ha parlato del suo concetto di architettura tra passato e presente nella lectio magistralis tenuta presso la Triennale di Milano all'inaugurazione della mostra “From Research to Design”
Wang Shu durante la sua lectio magistralis alla Triennale di Milano
 L'architetto, primo nel suo paese a vincere il premio Pritzker, ha parlato del suo concetto di architettura tra passato e presente nella lectio magistralis tenuta presso la Triennale di Milano all'inaugurazione della mostra “From Research to Design”

Di Luca Zorloni (左露珂)

Milano, 7 settembre 2012 - Alla vista della facciata in mattoni rossi di Sant'Ambrogio Wang Shu, primo architetto cinese a essere insignito del prestigioso premio Pritzker, racconta di aver esclamato: “Ehi, questo è un mio lavoro”. Un po' perché il laterizio è proprio dello stile del maestro orientale, un po' perché Wang, proprio come i suoi predecessori altomedievali, i progetti li disegna su carta senza adoperare il computer. Ma soprattutto perché – e questa è la sua personale interpretazione che ha regalato alle circa 300 persone accorse a sentire la sua lectio magistralis in Triennale – lo stile romanico di Sant'Ambrogio è “una forma di riciclo”.

Riciclo: secondo Wang Shu è la strada maestra per un'architettura più saggia, sostenibile e attenta alla storia dei luoghi in cui si insedia. È un'affermazione che a noi italiani, abituati a crescere tra stratificazioni di edifici, non fa l'effetto dirompente che invece suscita alle orecchie di un cinese, avvezzo a demolizioni e ricostruzioni continue. L'applicazione dei propri principi l'architettura come riciclo così come l'edificio concepito come casasono valsi a Wang Shu il conferimento del premio che gli apre le porte del Pantheon dei designer mondiali. Opere come il Ningbo History Museum, il padiglione della città di Ningbo all'Expo di Shanghai, il Tiled Garden alla Biennale di Venezia del 2006 e il campus dell'università Xiangshan hanno convinto la commissione del premio istituito nel 1979 da Jay. A Priztker e dalla moglie Cindy e destinato ad architetti che contribuiscano con le loro opere al bene dell'umanità, a conferirlo proprio a Wang Shu.

La sua architettura è esemplare nel forte senso di continuità culturale e di vigore della tradizione” recita il documento di assegnazione del premio, che prosegue: “Gli edifici di Wang Shu hanno un raro attributo: una troneggiante e persino monumentale presenza, che funziona superbamente e crea allo stesso tempo un ambiente sereno per la vita e le attività quotidiane”. Alla platea di Milano il professore ha parlato della febbre del mattone in Cina in occasione dell'inaugurazione di una mostra, “From Research to Design”, organizzata da Triennale e dalla Facoltà di Architettura dell'Università di Pavia per presentare i progetti di 35 professionisti della Tongji University. Wang ha spiegato che i palazzi delle periferie delle città del Dragone vengono rimpiazzati in media ogni vent'anni. “In Cina le persone hanno dimenticato la propria storia. L'architettura insegue lo stile all'ultimo grido e le demolizioni continue cancellano la nostra tradizione”, spiega l'artista.

Proprio per questo il 9 settembre di tre anni fa ha portato gli studenti della Facoltà di Architettura dell'Accademia di Arti di Hangzhou (è direttore della scuola dal 2007) a fare lezione in mezzo alle rovine di alcune case tradizionali. Sono i modelli a cui si ispira. Con le tegole dismesse delle vecchie abitazioni, nel 2006, ha realizzato un giardino di coppi, il Tiled Garden, alla Biennale di Venezia. Vi hanno lavorato in nove, sei architetti e tre artigiani. Di questi ultimi Wang Shu ha particolare ammirazione: quando riflette sul proprio mestiere infatti, paragona sempre le grammatica del designer contemporaneo alla prammatica degli artigiani del passato. Architettura “del fare” e dell'esperienza, che scaturisce dall'iniziativa personale. Amateur (“dilettante”, ndr), proprio come il nome che il premio Pritzker ha scelto per lo studio che ha fondato con la moglie Lu Wenyu nel 1997.

Wang Shu definisce i propri edifici case, anche quando si tratta di opere monumentali come i volumi solenni dell'History Museum di Ningbo del 2008. “Guardate che atmosfera dà alla città, sono molto arrabbiato che gli spazi intorno ora siano chiusi da enormi palazzoni”. Originario di Urumqi, città collocata nella provincia più a ovest della Cina, lo Xinjiang, dove è nato il 4 novembre 1963, il premio Pritzker oggi abita e lavora ad Hangzhou, “che è considerata una delle città più belle del paese”. Gira spesso per le vie della metropoli, per capire come vive la gente. Carpirne le necessità. Quando ha progettato i Vertical Courtyard Apartaments (2007, Hangzhou), un complesso di sei palazzine residenziali per un totale di 26 appartamenti, ha intuito che l'alternativa ai termitai che fagocitano i propri inquilini era la creazione di spazi condivisi. Così ha elevato la tradizionale corte delle case cinesi da terra, facendola lievitare al livello di balconi comuni a più appartamenti.

Dov'è l'arte che vale un premio globale? È nelle ispirazioni liriche, che Wang Shu nasconde dietro soluzioni lineari. Un'approfondita ricerca della pittura naturalistica cinese spiega la soluzione adottata per il padiglione della città di Ningbo all'Expo di Shanghai del 2010, che si presenta come una casa di contadini per cinque famiglie. Ancora i dipinti di paesaggio contengono le direttrici del progetto della campus di Xiangshan realizzata nel 2007: le scale che imitano i profili delle montagne, finestre profonde come cave. E sui tetti due milioni di tegole provenienti da demolizioni salvate dalla discarica. “Mi interessa il rapporto del mio edificio con lo spazio naturale che lo circonda”, chiosa Wang Shu.

Senza pagode e lanterne di riso la sua resta un'architettura chiaramente cinese. “Oggi i media all'estero pensano che i nuovi architetti cinesi facciano design cinese – spiega – ma non è così. È un problema del sistema scolastico ed educativo”. “La Cina – continua il professor Wang – si trova a un bivio: o continua a distruggere il passato per fare spazio al moderno, o va oltre e li fa interagire”. Ma perché ci sia comunicazione tra ieri e domani è necessario che non vada perso il dna specifico dell'architettura tradizionale. La memoria del passato. Se avesse le parole del Foscolo, sono certo che Wang Shu non esiterebbe a dire ai suoi colleghi: “Cinesi, io vi esorto alle storie”.

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