Tensioni tra Cina e Giappone: nel giorno
della memoria attivisti cinesi su isole Diaoyu


	
  Nel giorno della commemorazione della fine del conflitto mondiale, 14 attivisti cinesi sono giunti sulle isole Diaoyu e sono stati arrestati dopo aver piantato nella sabbia una bandiera cinese. Sono pronti per essere estradati verso Hong Kong, ma la vicenda mette in evidenza come le braci del nazionalismo sono ancora vive sotto la cenere di forti legami economici
Manifestanti rompono la bandiera del Giappone Imperiale protestando per gli arresti
 

Nel giorno della commemorazione della fine del conflitto mondiale, 14 attivisti cinesi sono giunti sulle isole Diaoyu e sono stati arrestati dopo aver piantato nella sabbia una bandiera cinese. Sono pronti per essere estradati verso Hong Kong, ma la vicenda mette in evidenza come le braci del nazionalismo sono ancora vive sotto la cenere di forti legami economici

di Valeria Gazzoni

Tokyo, 16 agosto 2012 - Le isole Diaoyu-Senkaku riaccendono le animosità tra Pechino e Tokyo proprio nel giorno in cui si ricorda la resa incondizionata dell'impero nipponico al termine della Seconda Guerra Mondiale. Due eventi si sono svolti nelle stesse ore ed hanno fornito la scintilla per un nuovo e vivace focolaio di nazionalismo da entrambe le parti. Attivisti cinesi si sono recati ieri sulle isole al centro della contesa per rivendicarne l'appartenenza alla Repubblica Popolare e sono stati arrestati dalle autorità giapponesi per immigrazione illegale. Nella giornata di oggi, l'agenzia di stampa giapponese Kyodo ha fatto sapere che sarebbe imminente il loro rilascio e la loro estradizione. Una mossa che potrebbe alleggerire le tensioni, esplose ieri in poche ore e aggravate dalla particolare giornata di commemorazione.

Il 15 agosto è il 67esimo anniversario della fine del secondo conflitto mondiale ed in entrambi i paesi si sono svolte celebrazioni, anche se dal diverso significato. In Giappone, due ministri si sono recati al controverso mausoleo di Yasukuni, che ricorda i caduti che hanno servito l'impero giapponese durante le guerre di invasione che hanno portato alla conquista di gran parte dell'Asia, quasi fino all'Australia. Su Tokyo è piovuta una pioggia di critiche da parte dei governi di tutti i paesi confinanti con il Giappone, le cui popolazioni hanno ancora negli occhi le atrocità e le torture perpetrate proprio da molti dei militari cui hanno recato omaggio i funzionari del governo nipponico. In Cina, e in particolare nel Jiangsu, dove l'orrore dell'occupazione giapponese ha dato vita al "Massacro di Nanchino", milioni di persone si sono recate in musei e mausolei per ricordare le vittime della guerra e la vittoria sull'impero giapponese, mentre proteste e manifestazioni si sono svolte in tutto il paese. Sempre dalla Cina, da Hong Kong e, in parte, dal continente, sono partiti i pescherecci che hanno scortato una quindicina di attivisti sulle coste dell'arcipelago Diaoyu.

La loro permanenza sull'isola di Uotsurijima è durata solo il tempo necessario per piantare nella sabbia una bandiera cinese: la guardia costiera locale ha arrestato in totale 14 persone e rimandato a bordo dei pescherecci altri due attivisti. I manifestanti, che sarebbero state incriminati, secondo Xinhua, per "violazione delle leggi sul controllo dell'immigrazione", si troverebbero ora ad Okinawa, in attesa di essere estradati verso Hong Kong. La reazione del ministero degli esteri cinese non si è fatta attendere: poche ore dopo la notizia, in un comunicato stampa, Qin Gang, portavoce del dicastero, ha invitato il Giappone a evitare qualsiasi azione che possa mettere in pericolo o danneggiare in qualsiasi modo i cinesi che si recano alle isole contese. Le autorità nipponiche hanno interrogato cinque dei nazionalisti cinesi, i quali hanno respinto l'accusa di ingresso illegale in territorio giapponese, sostenendo l'appartenenza dell'isola alla Cina. La loro mossa avrebbe voluto anticipare la visita di alcuni funzionari giapponesi all'isola, in programma per il prossimo 19 agosto.



Anche questa schermaglia tra i governi delle due superpotenze economiche asiatiche sembra essersi risolta in modi diplomatici. Ma nonostante diverse associazioni pacifiste sino-giapponesi siano sorte in questi anni per chiedere ai politici di accantonare le velleità nazionalistiche e di lasciare alla memoria storica gli orrori della guerra, sembra che l'unica motivazione sufficientemente pressante per convincere Tokyo e Pechino a sotterrare l'ascia di guerra sia il denaro. Sono infatti i grandi rapporti economici che legano i due stati (la Cina è stata per cinque anni il maggiore partner commerciale giapponese, assommando al 21% del suo commercio estero, mentre i nipponici sono il 5 partner del Dragone) ad aver smorzato e spento le tensioni politiche sull'appartenenza di questo piccolo arcipelago nel Pacifico.

Le isole Diaoyu-Senkaku si trovano a circa 450 km a sud di Okinawa e, annesse durante il conflitto, sono appartenute di diritto al Giappone in seguito al trattato di Shimonoseki che risale al 1895, al termine della prima guerra sino-giapponese. L'arcipelago è stato occupato dagli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale fino al 1972, quando in sede di Consiglio di Sicurezza dell'Onu entrambe le nazioni orientali ne hanno rivendicato la proprietà, mentre Washington si è dichiarata neutrale sull'argomento. Si tratta di 5 sparute isole disabitate, e il loro valore potrebbe risiedere nella presenza di giacimenti petroliferi. La disputa tra Cina e Giappone si è rianimata pochi mesi fa, quando il governatore di Tokyo, Shintaro Ishitara, ha dichiarato di voler acquisire le isole.

[email protected], Twitter: @ValeriaGazzoni

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