Pechino e Tokyo si contendono
le isole Diaoyu con la “diplomazia dei pescherecci”


	
      Protesta formale della Cina dopo lo sbarco di quattro politici giapponesi sulle isole al centro della disputa per la sovranità marittima. Il Paese di Mezzo fa valere i suoi diritti storici, il Sol Levante si appella a una nota della Dichiarazione di Postdam. Nel 2010 un episodio simile coinvolse una barca cinese.
Una delle isole dell’arcipelago di Diaoyu
 

 

 

Protesta formale della Cina dopo lo sbarco di quattro politici giapponesi sulle isole al centro della disputa per la sovranità marittima. Il Paese di Mezzo fa valere i suoi diritti storici, il Sol Levante si appella a una nota della Dichiarazione di Postdam. Nel 2010 un episodio simile coinvolse una barca cinese.





 

Di Luca Zorloni (左露坷)

 

Pechino, 4 gennaio 2011 – Passerà alla storia come la “diplomazia dei pescherecci” quella con cui Pechino e Tokyo paiono contendersi la sovranità sull’arcipelago di Diaoyu alias Senkaku, a seconda che sia segnato su mappe cinesi o nipponiche. Il pugno di cinque isole e tre scogli, per un totale di 7 chilometri quadrati spogli e disabitati, hanno fatto schizzare al calor bianco la temperatura dei rapporti tra le due potenze quando ieri un manipolo di quattro politici giapponesi, tra cui due parlamentari della circoscrizione dell'isola di Ishigaki, ha fatto rotta a bordo di un peschereccio  sulle coste dell’arcipelago conteso di Diaoyu, che Tokyo considera sua proprietà sulla base della Dichiarazione di Postdam del 1945, per una “gitarella” di due ore.

 

Tanto è bastato a Pechino per ribadire in una nota ufficiale che la sovranità del Paese di Mezzo sulle isole è “indiscutibile”: “appartengono alla Cina fin da tempi antichi”, ha precisato Hong Lei, portavoce del Ministero degli Esteri, che ha poi insistito nella “ferma risoluzione del governo a difenderle”. Un invito neanche troppo sottile ai naviganti giapponesi affinché non facciano più rotta a 410 chilometri a ovest di Okinawa, direzione Diaoyu. Il 7 settembre 2010 un episodio simile aveva incagliato i rapporti diplomatici tra i due paesi, benché i ruoli fossero invertiti. A scatenate la bufera allora era stato un peschereccio cinese, intercettato da motovedette della guardia costiera del Sol Levante mentre veleggiava verso Diaoyu. I mezzi giapponesi avevano contestato al barcone l'ingresso nelle acque territoriali e avevano imposto l'altper effettuare ispezioni a bordo, ma la manovra con cui i cinesi avevano cercato di sfilarsi dai controlli li aveva al contrario spediti dritti contro le navi militari. Uno “speronamento” in piena regola, a cui era seguito l’arresto e la detenzione presso l’isola di Ishigaki dei 14 membri dell’equipaggio (rilasciati il 13 settembre insieme al peschereccio) e del capitano (incarcerato fino al 24 e accusato in un primo momento di essere alla guida ubriaco, tesi poi sconfessata dagli alcol test a cui fu sottoposto). Per due settimane le relazioni tra Pechino e Tokyo scesero sotto lo zero e rivangarono una vecchia storia di confini marittimi: quella dell’arcipelago di Diaoyu.

 

Il gruppo di isolotti, segnalato per la prima volta su una mappa cinese del 1403, è rimasto sotto l’egida di Pechino sino al 1895, per poi essere ceduto all’Impero del Sol Levante alla firma del trattato di Shimonoseki che sancisce la fine della guerra sino-giapponese. I vessilli nipponici garriscono fino al 1945, quando il Giappone sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale deve rinunciare, sulla base della Dichiarazione del Cairo formalizzata a Postdam, ai suoi domini cinesi: Manciuria, Formosa e isole Pescadores. A Tokyo sarebbero rimaste le isole Honshu, Hokkaido, Kyushu, Shikoku e “quelle minori”. Una dicitura sufficientemente indeterminata perché nel 1971, quando termina l’interregno statunitense e inizia a circolare l’ipotesi che a largo del Mare cinese, proprio in corrispondenza degli otto scogli, ci siano riserve di idrocarburi, Taipei, Tokyo e Pechino tornino a contendersele. Chiamando in causa la storia, la geografia (Diaoyu dista 120 chilometri a nord-est da Taiwan, 410 a sud-ovest di Okinawa) e persino la conformazione dei fondali marini.

 

Di petrolio sotto le isole non c’è traccia e sopra fanno fatica a viverci le capre, figurarsi gli uomini. Ma da allora la sovranità degli speroni di roccia, che conservano invero uno scrigno di gas naturale, è un gioco al Risiko tra Cina e Giappone per definire limiti strategici alle acque territoriali. Di questioni marittime si sarebbe parlato anche nell’ultima visita del premier giapponese Noda a Pechino lo scorso novembre. Ma che la diplomazia dell’arcipelago passi per i pescherecci è scritto nel nome stesso delle isole, che gli inglesi nel XVIII secolo oscurarono con il loro “Pinnacle Islands”, da cui il giapponese Senkaku: i cartografi cinesi invece ci avevano visto lungo, quando nel 1403 le battezzarono isole di Diaoyu, ovvero della “Zattera della pesca”.

 

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