Pacifico solo nel nome: il controllo degli oceani
dà grattacapi ai piani alti di Pechino


	
  Esercitazioni congiunte Usa-Filippine fanno drizzare le antenne alla Marina del Dragone, che risponde con giochi di guerra organizzati insieme alla Russia. Alta tensione anche con il Giappone per il dominio sull'arcipelago Senkaku-Diaoyu
La marina dell’Esercito popolare di Liberazione
 

Esercitazioni congiunte Usa-Filippine fanno drizzare le antenne alla Marina del Dragone, che risponde con giochi di guerra organizzati insieme alla Russia. Alta tensione anche con il Giappone per il dominio sull'arcipelago Senkaku-Diaoyu



di Luca Zorloni (左露珂)

Pechino, 21 aprile 2012 – Pacifico solo nel nome, l'oceano più esteso del globo dà grattacapi alle ambizioni militari di Pechino. L'ombrello d'influenza che la Cina avrebbe voluto allargare sui mari orientali si confronta con un territorio tanto esteso geograficamente quanto politicamente affollato da presenze ingombranti: Giappone e Stati Uniti a est, a sud Filippine e Australia, India a ovest. E ancora Taiwan, Corea, Vietnam. Un “accerchiamento” che ha messo i generali dell'Esercito popolare di Liberazione sul chi va là. L'ultimo pungolo arriva dal Mar Cinese meridionale, di cui il Dragone rivendica sovranità indiscutibile e alla volta del quale le marine americana e filippina si sono imbarcate per dodici giorni di esercitazioni congiunte in barba ai divieti del Paese di Mezzo. Il dialogo tra Manila e Pechino procede a intermittenza. L'8 aprile, a Pasqua, era già stato surriscaldato da un incidente tra otto pescherecci cinesi e un incrociatore filippino intervenuto a sequestrarli perché avrebbero sconfinato oltre le acque territoriali, incidente culminato poi con un blitz di alcuni vascelli del Paese di Mezzo e infine nello stallo dei rapporti diplomatici tra le due nazioni.

E ora la situazione rischia di aggravarsi con 7mila marinai impegnati in un braccio di mare che il Dragone considera di sua proprietà. È la presenza dei marines a impensierire Pechino. Il megafono della Repubblica Popolare, l'agenzia Xinhua, sostiene che gli Stati Uniti ''potrebbero diventare una forza destabilizzante'' per la sicurezza regionale dell'Asia-Pacifico, ''se mettono la loro forza nei posti sbagliati''. Not in my backyard, in sostanza, afferma il governo cinese. E il quotidiano Global Times, anch’esso vicino al Partito Comunista, ritiene addirittura che le esercitazioni militari congiunte sarebbero state volute apposta da Washington “per dissuadere la Cina dal prendere iniziative militari contro Manila”. Tanto che il governo del Paese di Mezzo, proprio in corrispondenza dell'inizio delle operazioni, ha accelerato sul ritiro di una nave archeologica che batte bandiera filippina di stanza al largo dell'isola cinese di Huangyan, perché, secondo il ministero degli Esteri di Pechino, avrebbe violato “importanti convenzioni internazionali e le leggi cinesi”.

Manila non è la sola a guardare con preoccupazione alle mosse del Dragone. In Cambogia l'ultimo vertice dell'Asean, l'associazione internazionale che rappresenta dieci nazioni del Sud-est asiatico, ha espresso un no secco a lasciare mano libera a Pechino nel Mar Cinese meridionale. Se il Paese di Mezzo avanza sul percorso del divide et impera, quindi agganciando i singoli stati con accordi bilaterali, il presidente filippino ha suggerito al consesso di fare fronte compatto contro gli obiettivi della Cina che vuole assicurarsi il controllo delle risorse naturali di quel braccio di mare e impedire la costituzione di un cordone sanitario di stati sotto l’influenza degli Stati Uniti al di là della Grande Muraglia.

 



 

IL MISSILE DELLA DISCORDIA - Se si sposta lo sguardo ancora più a occidente, il clima politico non migliora, perché anche le relazioni tra India e Cina sono tornate a tendersi come una corda di violino. Da un lato c'è l'alt di Pechino alle esplorazioni petrolifere dei colossi di New Delhi nel Mare Cinese meridionale, sostenute invece dal governo di Hanoi proprio in ottica anti-Dragone. Dall'altro l'India ha effettuato i test di lancio del missile Agni V, dotato di una gittata di 5mila metri, in grado perciò di centrare la Cina e Pechino stessa. I piani alti della capitale hanno drizzato le antenne e il Global Times si è fatto subito portavoce di una campagna stampa aggressiva con un editoriale dal titolo India being swept up by missile delusion (India spazzata via dalle manie di grandezza missilistiche”, ndr), in cui invita New Delhi a non "sopravvalutare la propria forza” e rammenta che l’Esercito Popolare di liberazione possiede armi nucleari "più potenti e affidabili". Non solo: continua ad accumularne.

Secondo un’indagine del Sipri, l'Istituto di Ricerca per la Pace internazionale con sede a Stoccolma, nel 2011 Cina e Russia hanno investito nella corsa agli armamenti rispettivamente un +6% e un +9% che pongono il Paese di Mezzo al secondo posto dietro gli Stati Uniti e Mosca davanti a Francia a Inghilterra, e con la conseguenza che due dei vicini di casa del Dragone, India e Vietnam, hanno allargato i cordoni della borsa per attrezzare i propri arsenali (rispettivamente +66% nel 2002 e +82% nel 2003), tanto che New Delhi oggi è arrivata ad assorbire il 10% delle importazioni mondiali davanti a Corea del Sud, Pakistan, Singapore e Cina stessa.

 

 

AFFONDA LA "DIPLOMAZIA DEI PESCHERECCI" - E non resta fuori dalla partita nemmeno il Giappone. A complicare gli scenari pacifici (ma sempre in senso geografico) arrivano le dichiarazioni del governatore della capitale, Shintaro Ishitara, di voler acquisire l’arcipelago di Senkaku-Diaoyu, uno sparuto gruppo di isolette disabitate a sud di Okinawa da sempre contese tra Pechino e Tokyo attraverso scaramucce tra navi militari e da pesca. Ishitara ha simpatie nazionaliste e in barba al 40esimo anniversario dei rapporti diplomatici sino-giapponesi, ha rinfocolato la polemica tra i due paesi, ribadendo la propria proposta da Washington, dov’era in visita, e aggiungendo di avere già un mezzo accordo con il proprietario – giapponese – di tre dei cinque scogli. “La presenza di motovedette cinesi che supervisionano la pesca è una mezza dichiarazione di guerra al Giappone”, ha commentato infine. In Cina arriva lo tsunami, affonda la "diplomazia dei pescherecci". Il portavoce del ministero degli Esteri, Liu Weimin, ha ribadito “l’incontrastabile sovranità cinese” sull'arcipelago e alcune bandiere del Sol Levante sono state bruciate in piazza da manifestanti anti-nipponici. Il premier giapponese Noda è corso a gettare acqua sul fuoco (“considereremo tutte le opzioni”) ma nel frattempo arriva la notizia che la Cina gioca a sua volta nel mar Giallo la carta dell’esercitazione militare. Insieme all’alleato russo.

 

LA CINA MOSTRA I MUSCOLI - Nel fine settimana 16 navi e due sottomarini di Pechino prenderanno il largo e si uniranno a sette imbarcazioni di Mosca a ovest della penisola coreana. Risposta all’asse filippino-americano? Dimostrazione dopo il fallito missile lanciato dalla Corea del Nord o replica piccata a quello indiano? Oppure rassegna militare davanti alle coste di Giappone e Taiwan? O che sia una forma di protesta a miglia di distanza contro l'Australia? Quest'ultima spariglia ulteriormente le carte in tavola poiché ha escluso il colosso orientale delle comunicazioni Huawei Technologies dalla gara per la posa della fibra ottica nel paese. Il motivo? La società è una partecipata dell'Esercito Popolare di Liberazione e dunque potrebbe minare alla sicurezza della terra dei canguri. La Cina punta i piedi - “è iniquo” - ma niente da fare, Huawei è fuori. Ora, di fronte a uno scacchiere politico così agitato, il Dragone rassicura il mondo: “L'esercitazione non c'entra con tutto ciò”. Qian Lihua, maggiore dell'Esercito cinese impiegato presso il Ministero degli Affari Esteri, spiega che le operazioni in calendario fino al 27 aprile servono a mettere alla prova “la difesa delle principali arterie marittime e le fasi di un rifornimento navale”.

Insomma, togliere un po' di ruggine a cacciatorpedinieri, fregate e vascelli missilistici radunati nel porto di Qingdao, città della provincia centrale dello Shandong e quartier generale della Flotta del Mare cinese del Nord. La Cina mostra i muscoli. Ai russi persino, di cui non ha digerito i rapporti di amicizia dichiarati negli ultimi giorni con le tigri del Sud Est asiatico che sfidano Pechino. È tanta l'adrenalina nel mar Giallo e la navigazione della flotta sino-cinese a poche miglia dalle acque territoriali del Giappone promette di far schizzare al calor bianco il termometro del Pacifico. E dire che lunedì, dalle stesse coste della Cina (ma stavolta a Dalian, provincia di Liaoning), è partita un'altra nave militare, la Zheng He – 308 marinai di cui 110 cadetti dell'Accademia navale cittadina – che macinerà 30mila miglia nautiche intorno al mondo per circumnavigarlo per intero e gettare l'ancora in 11 porti, tra cui quelli di Canada, Spagna e Italia, ma anche di concorrenti come Vietnam e India, con una missione: promuovere l'amicizia tra i popoli. Ci impiegherà cinque mesi per tornare a casa. In quell'oceano che oggi è Pacifico solo nel nome.

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