“Le divise sono made in China? Bruciatele!” I politici Usa infiammati contro il Dragone
Le divise da cerimonia degli atleti americani sono firmate Ralph Lauren ma made in China. La notizia ha provocato aspre polemiche da parte della classe politica americana, mentre la disoccupazione sarà uno dei temi più caldi della campagna elettorale
Le divise da cerimonia degli atleti americani sono firmate Ralph Lauren ma made in China. La notizia ha provocato aspre polemiche da parte della classe politica americana, mentre la disoccupazione sarà uno dei temi più caldi della campagna elettorale
di Valeria Gazzoni
New York, 16 luglio 2012 - Nei giorni scorsi ha fatto molto scalpore in America la notizia che le divise degli atleti olimpionici, disegnate da Ralph Lauren, sono state fabbricate in Cina. Un post su Twitter da parte dello sprinter Nick Symmonds ("Le nostre divise di Ralph Lauren per la cerimonia di apertura sono state fatte in Cina. Quindi, ehm, grazie Cina") ha dato il via alle reazioni piccate da parte dei politici di Washington, di entrambi gli schieramenti, Democratici e Repubblicani, che non hanno perso occasione per montare una nuova polemica nei confronti della Cina. Le relazioni tra i due paesi sono state piuttosto tese negli ultimi mesi, con schermaglie più o meno gravi, dal caso Chen Guangcheng fino alla querelle sulle registrazioni dei livelli di inquinamento dell'aria di Shanghai. Entrambi i paesi si trovano in un momento chiave per il proprio futuro politico: le elezioni americane si avvicinano inesorabilmente, come anche il passaggio di consegne tra Hu Jintao e Wen Jiabao e i loro successori designati.
Proprio la incombente tornata elettorale da cui uscirà il nome del nuovo presidente americano sarebbe, secondo molti, tra cui gli organi di stampa ufficiali cinesi, la causa di queste polemiche.L'abbigliamento destinato agli atleti americani è ormai da molti anni prodotto all'estero e mai prima d'ora la questione ha suscitato tali livelli di indignazione presso la classe politica a stelle e strisce. Nemmeno nel 2002, quando gli giacche e t-shirt erano state prodotte in Birmania, paese oppresso da una dittatura militare contro cui gli Usa hanno stabilito pochi anni dopo un sistema di sanzioni economiche, erano stati espressi commenti simili a quello del senatore Harry Reid, leader dei Democratici. Lo scorso venerdì, il senatore ha affidato ai giornalisti queste parole: "dovrebbero prendere tutte le divise, accatastarle, bruciarle e ricominciare da capo".
Da parte sua, lo stilista Ralph Lauren ha promesso che l'abbigliamento per le olimpiadi invernali del 2014 sarà interamente prodotto negli Stati Uniti. E mentre il designer chiede ammenda per aver delocalizzato in Cina la realizzazione di parte della sua collezione, il marchio più amato dagli hipster, American Apparel, ha firmato un accordo con il Comitato Olimpico russo, i cui atleti indosseranno capi made in Usa per le competizioni del 2014. Altra vittoria per l'economia targata Usa, Nike sarà lo sponsor tecnico degli atleti cinesi di alcuni degli sport più "redditizi", tra cui il basket, popolarissimo alle latitudini del Dragone, lasciando al marchio indigeno Li Ning solo gli sport meno seguiti.
Come ha dichiarato Timothy Tsun Ting Fok, presidente del Comitato Olimpico di Hong Kong intervistato dall'International Herald Tribune, "Fa tutto solamente parte della globalizzazione". In un editoriale dall'agenzia di stampa governativa Xinhua si legge: "Le divise del team Usa hanno toccato il tasto più sensibile dell'anno elettorale, la delocalizzazione di posti di lavoro dagli Stati Uniti, mentre il tasso di disoccupazione nel paese ha oltrepassato l'8%". Insomma, Pechino non ha dato importanza al dibattito che si è scatenato dall'altra parte del Pacifico, bollato come "ipocrisia politica", un fenomeno da campagna elettorale in quello che resta uno tra i principali partner economici della Cina, un partner che vale 440miliardi di dollari l'anno.