Pacifico, nuove tensioni tra Cina e Filippine: di mezzo c’è un asilo
Manila annuncia di aprire una scuola materna sull'isola di Zhongye, di cui Pechino rivendica la sovranità, e scoppia il caso diplomatico. Nel frattempo gli Stati Uniti si fanno tentare dal riaprire le basi militari della guerra del Vietnam
Manila annuncia di aprire una scuola materna sull'isola di Zhongye, di cui Pechino rivendica la sovranità, e scoppia il caso diplomatico. Nel frattempo gli Stati Uniti si fanno tentare dal riaprire le basi militari della guerra del Vietnam
di Luca Zorloni (左 露珂)
Pechino, 25 giugno 2012 - L'ultima minaccia alla già traballante diplomazia tra Cina e Filippine sulla spartizione del Mar cinese meridionale è un asilo. Manila ne annuncia l'apertura sull'isola di Zhongye e la replica secca di Pechino in difesa della propria sovranità territoriale sull'area non si fa attendere. Dopo i pescherecci, le navi militari e il progetto di un molo per traghetti sempre nella stessa località a far ribollire le acque tra i due paesi è una scuola materna. Alla presentazione del piano edilizio si accompagna l'apertura di un'indagine delle autorità filippine sull'affondamento di un proprio peschereccio da parte di una nave militare del Dragone, ma dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei è arrivato uno stop e la richiesta di non esacerbare la situazione corrente, ribadendo la sovranità assoluta dell'ex Celeste Impero sull'arcipelago di Nansha di cui Zhongye fa parte e di cui la controparte rivendica la disponibilità. Il braccio di ferro continua.
La disputa per quel pulviscolo di isole che sono gli atolli e gli scogli del Mar cinese meridionale non accenna a spegnersi perché i tesori sommersi - petrolio, metalli e gas naturale - fanno gola a entrambi i paesi, che mescolando diritti acquisiti per "anzianità" e misure dei confini delle acque territoriali si contendono fino all'ultima roccia. Hong Lei ha precisato che la Cina "si oppone a tutte le attività che possano minare la sua sovranità chiedendo a tutti i paesi di rispettare le regole internazionali" e ha ricordato che la flotta di Pechino continua a pattugliare le coste dell'isola Huangyan (Scarborough Shoal in inglese, ndr), 140 miglia a ovest della filippina Luzon, intorno alla quale dallo scorso 8 aprile la tensione con Manila è salita alle stelle. Un aereo filippino allora aveva individuato pescherecci della Repubblica Popolare intenti a gettare le reti al largo del gruppo di scogli e dalla capitale erano state spedite navi militari che li avevano sottoposti a ispezione. Poi è stata la volta di un peschereccio filippino che i piani alti di Manila sospettano sia stato affondato da una nave cinese: l'episodio, che si è concluso con un bilancio di un morto, tre dispersi e quattro superstiti, è finito sulla scrivania del presidente Benigno Aquino III che ha annunciato ieri verifiche da parte del suo governo prima di formulare un'accusa vera e propria nei confronti di Pechino.
La Cina proclama la sovranità su tutto il braccio di mare; le Filippine invece rivendicano il controllo delle isole comprese entro il confine di 200 miglia stabilito dal diritto internazionale. Senza un accordo la tensione potrebbe sfociare in una guerra. E non è una novità: il 10 maggio scorso i tour operator avevano bloccato i viaggi verso le spiagge filippine poiché ritenevano la situazione "non sicura" per i turisti. Come se i due stati fossero sull'orlo di uno scontro armato. Negli stessi giorni al semaforo rosso delle agenzie viaggi si accompagnava di contro il semaforo verde della CNOOC (China National Offshore Oil Corporation, ndr), impegnata ad accappararsi la commessa per la costruzione di piattaforme offshore per la filippina Philex Petroleum Corporation, segno che gli industriali un accordo per spartirsi i tesori sommersi del Mar cinese meridionale lo avrebbero trovato. La politica invece prosegue la linea del muro contro muro: lo scorso 16 giugno, nel corso della visita del ministro italiano della Difesa Giampaolo Di Paola, Manila ha auspicato di poter acquistare armi prodotte dal Belpaese per arricchire il proprio arsenale.
E i vertici dell'ex Celeste Impero sono impensieriti anche dalla recenti dichiarazioni degli Stati Uniti, che hanno espresso la volontà di di riaprire alcune basi militari del Pacifico attive durante la guerra del Vietnam. Non si tratta di semplici proclami: il capo del Pentagono Leon Panetta ha già intavolato discussioni con i governi di Thailandia, Vietnam e delle stesse Filippine, dove vorrebbero tornare a occupare la Subic Bay Naval e l'ex Clark Air Base, un tempo uno dei più grandi avamposti dell'esercito dello zio Sam. L'intesa con Bangkok mira ad attivare un hub per le operazioni di emergenza nella regione pacifica riciclando una base aerea per B52 degli anni Sessanta che ospitava i B52; a Ho Chi Mihn Panetta non ha nascosto di aver individuato un enorme potenziale in Cam Ranh, il quartier generale di aviazione e marina americane su suolo vietnamita.
Il numero uno del Pentagono sta giocando la carta dell'azione "di pace". Ha avvisato i propri superiori che gli Stati Uniti dovranno cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa ai propri interlocutori prima di tornare a occupare luoghi "che non hanno ancora perso il forte contenuto simbolico legato alle recente storia" e ha definito "temporanea" l'installazione delle basi militari, "per avere una presenza a rotazione che ci permetta di costruire capacità comuni per comuni interessi". Ma quali sono queste capacità comuni? E quali i comuni interessi? A guardare le mappe è chiaro che basta tirare una retta da Cam Ranh per intersecare le isole dell'arcipelago di Nansha o una inclinata di 20 gradi circa per intercettare quello di Huangyan. E questo è solo il rumore per un asilo.