Guerra al falso made in Italy
Intesa Roma-Pechino contro i marchi truffa


	
Nelle strade di Pechino molte insegne invece dei caratteri cinesi riportano nomi come "Tosckany" e "San Marco". Gli uffici della Italian Trade Commission nella capitale cinese collaborano con le autorità locali per smascherare queste frodi che danneggiano l'identità del made in Italy ma anche i consumatori cinesi
Un’insegna che imita palesemente l’italiana Prada


Nelle strade di Pechino molte insegne invece dei caratteri cinesi riportano nomi come "Tosckany" e "San Marco". Gli uffici della Italian Trade Commission nella capitale cinese collaborano con le autorità locali per smascherare queste frodi che danneggiano l'identità del made in Italy ma anche i consumatori cinesi

di Valeria Gazzoni

Pechino, 14 maggio 2012 - Giovanni de Sanctis è a capo del Desk per la tutela della proprietà intellettuale della Italian Trade Commission di Pechino, ufficio gestito dal Ministero dello sviluppo economico. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con le autorità cinesi per combattere i finti marchi "made in Italy". Arrivato nella capitale due anni fa, de Sanctis dice di essere stato da subito colpito dal proliferare per le strade cinesi di insegne che si richiamano al Bel Paese con nomi comicamente "italianeggianti" ma, ovviamente, sconosciuti alle nostre latitudini. "Alcune aziende cinesi usano un marchio "italiano" per imbrogliare i consumatori, secondo loro il brand avrebbe una lunga storia e sarebbe nato in Italia, ma si tratta solo di un inganno commerciale". 

Dopo un un anno di ricerche, de Sanctis ha presentato all'Ufficio statale per la proprietà intellettuale cinese una lista di 10 finti brand italiani diffusi in Cina. A questa sono successe altre due liste analoghe, una nell'ottobre 2011 e una terza nel febbraio 2012. In questo modo è iniziata una collaborazione Italia-Cina per smascherare queste truffe. Al momento, le autorità stanno lavorando sulle aziende incluse nella prima lista, alle quali chiedono di cancellare il marchio e tutte le forme promozionali ad esso connesse, mentre ai loro dirigenti sono state comminate multe e punizioni amministrative.

A quasi un anno di distanza, però, gli altri due documenti non sono ancora stati presi in considerazione. De Sanctis, riguardo al ritardo con cui viene affrontato il problema, ha dichiarato che la responsabilità ultima riguardo a queste frodi spetti al governo e agli stessi consumatori cinesi, che dovrebbero tutelarsi di più, informandosi sulla vera identità dei brand che acquistano, invece che lasciarsi affascinare dall'appeal straniero di questi marchi: "tutto ciò che ho scoperto è di pubblico dominio, sono tutte informazioni che si possono facilmente reperire online sulle pagine ufficiali di queste aziende".

Gui Hua, avvocato pechinese che collabora con l'ufficio italiano, sottolinea che questo business sleale danneggia non solo l'immagine dell'Italia e dei marchi autenticamente italiani, ma anche gli interessi dei consumatori cinesi. Infatti, i prezzi degli articoli con falsi brand italiani possono arrivare a cifre assurde anche per il nostro mercato: ad esempio, secondo quanto riferisce il People's Daily, un materasso della Isaiah, azienda che affermerebbe di essere italiana, costa più di 4000 euro.

Questa scorciatoia è spesso garanzia di successo per i produttori cinesi, specie finchè esisterà una fascia di acquirenti disposta anche a spendere cifre da capogiro pur di ostentare la propria, recente, ricchezza. Lavorare per raggiungere alti standard qualitativi potrebbe essere una possibile soluzione alla piaga del "tarocco" nel mercato del Paese di Mezzo: infatti, dove il made in China è vincente, come in alcuni settori della tecnologia, i marchi cinesi viaggiano alla pari con i rivali occidentali e i casi di "falsa identità" del brand sono meno numerosi.

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