“Ho servito il popolo cinese e ora vi racconto com’è fare la giornalista nella bocca del Partito”
Emma Lupano, giornalista professionista e docente di Lingua e cultura cinese alla Statale di Milano, ha lavorato per tre mesi al Quotidiano del Popolo, la voce ufficiale del governo di Pechino. In un libro descrive la sua esperienza e affronta uno dei nodi principali della gestione del potere nel Dragone: i media
Emma Lupano, giornalista professionista e docente di Lingua e cultura cinese alla Statale di Milano, ha lavorato per tre mesi al Quotidiano del Popolo, la voce ufficiale del governo di Pechino. In un libro descrive la sua esperienza e affronta uno dei nodi principali della gestione del potere nel Dragone: i media
di Luca Zorloni (左露珂)
Milano, 19 ottobre 2012 - Il 5 gennaio 2009 Emma Lupano, giornalista professionista e docente di Lingua e cultura cinese alla Statale di Milano, entra nella "bocca" del Partito Comunista Cinese, il Quotidiano del Popolo. Il suo compito è sostituire il redattore madrelingua inglese non ancora arrivato dal Regno Unito per tradurre gli articoli del sito del giornale. Il suo scopo è "studiare i media locali". Per tre mesi Emma Lupano firma pezzi sulle colonne (multimediali) della voce ufficiale di Pechino e lavora nelle stanze dove si "cucina" l'informazione ufficiale del Dragone. Un'esperienza che racconta, con ironia e montagne di dati, nel libro Ho servito il popolo cinese. Media e potere nella Cina di oggi (ed. Brioschi), dove indaga anche sul mondo comunicazione nel gigante orientale. Partendo da una premessa: “Se fare il giornalista come il partito comanda equivale a “servire il popolo”, allora lo ammetto: ho servito il popolo cinese”.
La tua descrizione del "Quotidiano del Popolo" è di una realtà multiforme, ben oltre la censura piatta e grigia che comunemente si associa alla stampa cinese. Quanto ti sei sentita limitata nella tua libertà d'espressione?
“L'autocensura fa parte automaticamente della scrittura. Appartiene alla cultura cinese, che si esprime in modo indiretto, e gli scrittori hanno affilato nel tempo la capacità di cesellare le parole, di esprimersi in modo obliquo. È la modalità di Yu Hua, che per riferirsi ai fatti di Tienanmen parla di 35 maggio. Quando mi sono messa a scrivere sono partita dalla scelta degli argomenti: ho cercato temi interessanti per un lettore straniero ma ineccepibili dal punto di vista della censura. Però non mi sono tenuta, ho usato l'ironia e ho dato qualche sferzatina. Ho scritto un primo pezzo sulla crisi dei trentenni, prendendo spunto dai miei coinquilini e raccontando delle ragazze che si sposano più tardi e dei ragazzi che vogliono viaggiare. In un secondo servizio ho approfondito l'idea che hanno gli occidentali dei monumenti rifatti in Cina. Ho sempre cercato di trattare argomenti che facessero emergere le somiglianze e le differenze tra Oriente e Occidente e comunque impiegavano cinque giorni per essere approvati. La difficoltà maggiore l'ho trovata nello spiegare le traduzioni degli slogan: nessuno voleva aiutarmi per non farsi carico della responsabilità”.
Tra gli episodi più curiosi raccontati nel libro c'è la tua reazione di sorpresa di fronte ai detersivi che sono regalati alle redattrici del Quotidiano del Popolo in occasione della festa della donna. Come giudichi il dono?
“L'entusiasmo delle redattrici va letto in ottica di un'utilità del regalo. È propria del lavorare in un posto statale, al di là dei luoghi comuni: si guadagna poco, in un sistema controllato, ma si hanno benefit. A riconoscerlo erano gli stessi giornalisti”.
Cosa ne pensi dei crescenti investimenti dei media cinesi in Africa?
“La Cina è molto forte in Africa ma non è detto che questo sia positivo per gli africani. Le risorse che porta tornano a beneficio dei cinesi stessi. La Cina investe nei media perché ha interesse a presentare un volto più positivo e perché il continente è un terreno di battaglia a livello mondiale. Tra la Cina e l'Africa c'è comunque un rapporto di lunga data, dalla conferenza di Bandung (1955) con Zhou Enlai”.
Trentacinque giornalisti cinesi in prigione sono un triste dato (2010, Reporters sans Frontieres): secondo te la nuova classe dirigente potrà allentare la stretta sui media?
"Xi Jinping era legato per retaggio familiare all'ala più riformista del partito, ma non è una garanzia di apertura. Nel settore dei media non c'è mai stata una riforma. La leadership cinese vede il controllo dei mezzi di comunicazione come un mezzo per la stabilità politica”.
Come è stata accolta dalla stampa cinese la consegna del Nobel per la Letteratura a Mo Yan?
“Il Quotidiano del Popolo riportava un'intervista allo scrittore nel suo villaggio, Gaomi. Mo Yan raccontava l'emozione del premio e spiegava che è dalla parte delle campagne, dunque prendeva una posizione politica. In un editoriale del Quotidiano del Popolo si leggeva però che il premio Nobel non è misura di valore letterario. Questo prendere le distanze da un riconoscimento dato dall'estero si può forse spiegare con il Nobel per la Pace a Liu Xiaobo (promotore nel 2008 di un manifesto, la Charta 08, per la democratizzazione della Cina e condannato nel 2009 a undici anni di reclusione, ndr) . Mi aspetto che le testate commerciali siano più contente. Mo Yan era favorito. E ai cinesi non andava giù che l'unico Nobel alla letteratura fosse stato consegnato a uno scrittore (Go Xingjian, ndr) che non era cittadino cinese”.
Mark Bourrie, giornalista canadese alla Xinhua, in un articolo apparso nel numero di settembre dell'Ottawa Magazine racconta di essersi licenziato perché si sentiva usato dal governo cinese per spiare il governo del proprio paese. Che impressione ti fa sentire questo racconto? E' una sensazione che hai provato anche tu?
“Quando si lavora con i cinesi ci si sente un po' usati, non si capisce se si è strumento in mano loro o meno. Spesso i giornalisti stranieri che lavorano per organi di stampa del partito si sentono usati o perché lo sanno o perché lo sospettano, ma è difficile da capire se gli obiettivi abbiano un interesse politico o solo personale. Si ha la sensazione di muoversi nella nebbia. L'ho vissuta anche io”.