Roma, 20 agosto - Nonostante la crisi vola l'imprenditoria cinese in Italia: tra il 2008 ed il 2011 le imprese sono cresciute del 26%. Sempre in questo quadriennio c'è stato un boom delle rimesse: sono ritornati in patria 7,87 miliardi di euro. Il 70% delle attività si svolge nel commercio, nella ristorazione/alberghi e nei servizi. Il 51% delle imprese sono ubicate in Lombardia, in Toscana e in Veneto.
E' questo lo scenario emerso dall'elaborazione condotta dalla Cgia (Associazione Artigiani e Piccole Imprese) di Mestre che ha analizzato la comunità straniera presente in Italia più predisposta ad affermarsi nel mercato del lavoro attraverso l'apertura di un'attività imprenditoriale: vale a dire quella cinese. Al 31 dicembre del 2011, spiega la Cgia, il numero delle aziende guidate da imprenditori cinesi ha superato le 58.200 unità. A dispetto di un leggero calo avvenuto nel 2010, tra il 2008 ed il 2011 l'aumento della quantità di denaro inviato in Cina è stato del 65%. Nel dettaglio, la Regione più popolata da imprenditori con gli occhi a mandorla è la Lombardia, con 11.922 attività. Seguono la Toscana, con 10.854 imprese, e il Veneto, con 6.939 aziende.
"In passato - commenta Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre - i settori maggiormente caratterizzati dalla presenza di attività guidate da cinesi riguardavano la ristorazione, la pelletteria e la produzione di cravatte. Successivamente le loro iniziative imprenditoriali si sono estese anche all'abbigliamento, ai giocattoli, all'oggettistica e alla conduzione di pubblici esercizi. Ormai il 70% del totale delle imprese presenti nel nostro Paese si concentra nei servizi: settore che consente, a differenza del manifatturiero, un grande riflusso di capitali verso la Cina. Si pensi che l'anno scorso, a fronte di 7,4 miliardi di euro che gli immigrati residenti in Italia hanno inviato nei Paesi di origine, 2,5 miliardi, pari al 33,8% del totale, sono stati spediti dalla comunità cinese".
Dalla Cgia fanno notare che storicamente i cinesi hanno sempre dimostrato una spiccata propensione imprenditoriale e una forte inclinazione verso l'affermazione economica e sociale. Nonostante questi aspetti positivi non mancano però i problemi. "Innanzitutto - prosegue Bortolussi - è una comunità poco integrata con la nostra società, perché la quasi totalità di questi lavoratori non parla la nostra lingua. Inoltre, buona parte di queste attività, soprattutto nel manifatturiero, si sono affermate eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, aggirando le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e non rispettando i più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste aziende, quasi sempre provenienti anch'essi dalla Cina. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra. Tuttavia è giusto sottolineare - conclude Bortolussi - che anche gli imprenditori italiani non sono immuni da responsabilità. In molte circostanze, coloro che ancora adesso forniscono il lavoro a questi laboratori produttivi cinesi sono committenti italiani che fanno realizzare parti delle lavorazioni con costi molto contenuti. Se queste imprese committenti si rivolgessero a dei subfornitori italiani, questa forte riduzione dei costi non sarebbe possibile".