L’ESPERTO RISPONDE La Cina è la vetrina più grande al mondo Cinque modi per essere sempre in prima fila
Continua la nostra rubrica per capire meglio i meccanismi dell'economia cinese. Oggi parliamo con Dario Acconci, esperto di marketing internazionale, che ci aiuterà a capire come avviare un'attività commerciale di successo in Cina
Continua la nostra rubrica per capire meglio i meccanismi dell'economia cinese. Oggi parliamo con Dario Acconci, esperto di marketing internazionale, che ci aiuterà a capire come avviare un'attività commerciale di successo in Cina
di Luca Zorloni (左 露珂)
Milano, 20 luglio 2012 – Avete appena finito di impacchettare le valigie, il vostro business è pronto per decollare alla volta della Cina. Ma di là ci sarà qualcuno pronto ad aspettarvi? Avviare un’attività commerciale al di qua della Grande Muraglia può essere sì conveniente, ma bisogna scegliere una modalità operativa che valorizzi l’investimento e le qualità del prodotto. Dario Acconci, senior associate presso lo studio internazionale di avvocati DLA Piper Hong Kong, spiega che esistono varie tipologie di “biglietto d’ingresso” nel mercato del Dragone.
“Innanzitutto, si può trovare un partner distributivo”. È la modalità più semplice, perché prevede un accordo commerciale senza costituzione di società locali identificando una “spalla” in territorio cinese. Al contempo, presenta delle carenze: il brand viene affidato a una terza parte, si perdono il margine di retail e il controllo del marchio, poiché il partner non ha interesse a spiegare l’andamento del prodotto, l’azienda madre non acquisisce know how su tendenze e consumi locali. È “un approccio sostenibile per chi non ha capitali per mettere in piedi una struttura locale”. Acconci avverte: “Stipulate dei contratti blindati, con il controllo di minimi, la tutela della proprietà intellettuale, clausole sulle verifiche dell’attività del distributore e per il riacquisto dell’attività. Fatevi intestare i contratti di affitto per valorizzare i negozi, prendete dipendenti e inventario”.
Seconda opportunità: la joint venture, con la costituzione di una società di diritto cinese con un socio locale. “Permette di controllare meglio il mercato locale, perché impone di strutturare una sede distaccata – spiega Acconci – ma purtroppo l’investimento misto risente di tutti i problemi di un matrimonio. E come molte relazioni, ha un esito di rottura, consensuale o meno”.
Chi possiede capitale e conoscenza può pensare a un “investimento diretto”, dunque alla costituzione di una società a intero capitale straniero che si occupi della distribuzione dei prodotti in Cina. Secondo Acconci è la modalità che “assicura i migliori risultati, ma richiede un impegno economico e organizzativo ingente”. Il legale avverte: “La Cina è un mercato di 1,3 miliardi di persone, non è un ambiente in cui sia facile orientarsi. Né è l’eldorado, ha costi altissimi di impianto. Chi propende per un investimento diretto deve pianificare un’impresa di medio termine, con break even di almeno tre anni e un robusto indirizzamento al valore delle risorse umane. Bisogna avere talenti”. In denaro e non. La Cina d’altronde non è solo un mercato ciclopico, ma è anche uno stato aperto ed evoluto sì all’investitore straniero, ma allo stesso tempo molto attento proprio sulle attività che quest’ultimo intende impiantarvi. “Ci sono normative sugli aspetti societari molto precise: la Cina richiede adeguati livelli di capitalizzazione, che stabilisce sulla base di uno studio di fattibilità”.
La Cina è uno dei paesi in cui il franchising è regolamentato ed è perciò questa la quarta modalità operativa annoverata da Acconci, che però avverte sul problema del carico pesante di burocrazia che si porta dietro. In Cina, ad esempio, “funziona nel settore alimentare, non nella moda”.
C’è poi un quinto sistema, molto in voga oggi: il tuoguan, 托管, una forma di service company tra chi ha l’expertise del prodotto e chi quella mercato. In sostanza si ottengono dei servizi di penetrazione in Cina a fronte della corrispondenza di una fee. Può essere conveniente stare a Hong Kong, nonostante la “visione miope del fisco italiano”, dice, perché il regime di Common Law rende più sicura la joint venture.
E poi si può anche pensare di sviluppare altre linee di prodotti insieme al brand appositamente per la Cina o puntare sull’e-commerce: si pensi che Tao Bao, l’Ebay del Dragone, ha oltre 370 milioni di utenti registrati e 800 milioni di prodotti.
Ma come ci si muove in Cina? “Innanzitutto non si va immediatamente: solo per le pratiche e gli incartamenti da presentare servono dai 3 ai 5 mesi – spiega Acconci –. Bisogna avere delle persone che seguano le fari preliminari direttamente in Cina, affiancati da qualcuno che sappia parlare la lingua e da un commercialista o un avvocato esperto nel settore”. Un consiglio: “Registrate il vostro marchio. È pratica anche caldeggiata per chi è intenzionato solo a produrre: pensi alla Cina come mercato e tuteli la proprietà intellettuale o troverà qualcuno che l’ha fatto prima di lui”. “I contenziosi di aziende e negozi per i brevetti sono innumerevoli e vale il principio di chi prima arriva meglio alloggia. Anche perché i criteri di notorietà non sono facili da dimostrare. Conviene quindi fare visure e controlli e affidarsi a un consulente marchi, che verifichi nelle varie sottoclassi in cui è suddiviso il sistema delle merci cinesi (classificate comunque secondo il trattato di Nizza) come registrare il proprio”. Si può usare il marchio utilizzato in altri Paesi o uno traslitterato (o valorizzando il suo o il significato ovvero creando un nuovo brand), affindandosi a esperti linguistici e di marketing per avere un marchio che possa poi effettivamente essere utilizzato dai consumatori. Come nel caso della Coca Cola, diventata 可口可乐.
In pillole:
attenzione a sourcing (importazione, composizione dei tessuti) e specifiche (etichette, taglie, normative);
depositare il marchio prima di entrare sul mercato:
attenzione a estendere alla Cina il brand così come utilizzato in altri paesi;
attivare servizi di sorveglianza sul brand;
raccogliere le evidenze di notorietà per marchi famosi che debbano opporsi a terzi (fatture di investimenti pubblicitari, fatture vendita, survey su quote di mercato);
non utilizzare il marchio in modo diverso da quello con cui è stato registrato;
effettuare tutti gli adempimenti amministrativi necessari per i contratti di trasferimento e licenza con l’ufficio marchi cinese.
Il nostro esperto
Dario Acconci ha più di un piede in Cina: là sono le sue radici. Nato a Hong Kong da mamma del luogo e papà italiano, di una delle famiglie dello Stivale più antiche nell’ex colonia britannica (il nonno vi si trasferì nel 1940 dopo due anni a Shanghai), ha studiato in Italia e ha fatto pratica presso lo studio Birindelli e associati, che lo ha trasferito a Hong Kong come responsabile. Dal 2003 è nello staff di DLA Piper e segue le aziende che progettano di andare in Cina.