IL COMMENTO
Economia,
crisi mondiale:
Se la Cina
si inceppa


	
Una fabbrica a Zibo, nello Shandong
 

di Cesare De Carlo

Milano, 19 luglio 2012 - Che accade? Davvero dopo Usa e Europa anche la Cina entra in crisi? Se guardiamo ai consumi no. Sulla costa orientale, da Pechino a Hong Kong, i negozi sono strapieni. Il reddito medio è aumentato del 10% nella prima metà dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma se consideriamo le statistiche del regime sulla crescita, vediamo una diminuzione: dall’8,1 del Pil nel primo trimestre 2012 al 7,6 nel secondo. Gli americani e gli europei alle prese con crescite anemiche o sottozero stapperebbero lo champagne. In Cina no: quelle percentuali erano molto più alte in passato. Erano rimaste stabilmente al di sopra del 10 da quando la Cina comunista si votò al paradosso ideato da Deng Xiaoping, quello di un’economia di mercato calata nella camicia di forza di un sistema totalitario. Il paradosso ha funzionato per trent’anni. Con le conseguenze che sappiamo: benefiche per il made in China, negative per la competitività dell’occidente.

Ora però sembra avere perso slancio. E non per la flessione, tutto sommato contenuta, del Pil, ma per fattori concorrenti. Il primo è il forte calo degli investimenti stranieri: meno 6,9 in giugno, che conferma un trend semestrale al ribasso e che non ha tratto giovamento dalle riduzioni fiscali sui dividendi da rimpatriare e dall’infusione di liquidità da parte della Banca Centrale. Il secondo fattore, meno evidente ma più importante, riguarda i consumi energetici. Quello di petrolio è diminuito, come si ricava anche dal prezzo mondiale del greggio di cui la Cina è la seconda importatrice. E quanto all’elettricità nelle province industrializzate di Shandong e Jiangsu il suo consumo è diminuito del 10%, secondo analisti occidentali. Al tempo stesso sono aumentate le riserve di carbone. Il che significa un marcato rallentamento dell’attività produttiva. Il regime lo nega. Ma le statistiche sono considerate manipolate. E’ già avvenuto in passato, sostiene Goldman Sachs.

Conclusione: il rallentamento cinese non allevia i nostri guai. Li aggrava, anche perché si combina con quello dei Paesi del Brics. Ma sbaglierebbe chi lo attribuisse solo ai mercati americano ed europeo, che in tempi di austerity tirano di meno. A frenare la Cina sono essenzialmente cause endogene: la bolla immobiliare, l’inflazione, le tensioni sociali.

 

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