Wukan, prove tecniche di democrazia
Elezioni nell’ex villaggio ribelle
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  Migliaia di persone hanno partecipato a quello che viene considerato un raro esempio di libere elezioni nel Dragone. E' una svolta. Vince uno dei leader della protesta, Lin Zualan
Lin is accompanied by other villagers after being elected as village chief in Wukan

 


Migliaia di persone hanno partecipato a quello che viene considerato un raro esempio di libere elezioni nel Dragone. E' una svolta. Vince uno dei leader della protesta, Lin Zualan

di Luca Zorloni (左 露珂)

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Pechino, 4 marzo 2012 – Quale manuale di storia ricorderà il 3 marzo 2012 come una data di elezioni politiche “libere” nella storia della Repubblica Popolare cinese? Per adesso, nemmeno la versione di Wikipedia in putonghua riporta l’evento eccezionale che ieri ha segnato la vita dei cittadini di Wukan, il villaggio “ribelle” del Guangdong, chiamati alle urne per eleggere i membri del comitato di amministrazione locale dopo aver cacciato la precedente dirigenza, accusata di corruzione. Solo nell’agenda di Lin Zuluan, ex imprenditore di 67 anni e anima delle proteste di settembre, quel 3 marzo sarà cerchiato con la penna rossa: in tarda serata, al termine delle operazioni di spoglio, saprà che il voto libero dei suoi compaesani lo ha scelto come nuovo timoniere del villaggio di pescatori. Al suo fianco un altro “ribelle”, Yang Semao. Battono gli altri 21 candidati ai sette seggi di queste prima votazioni libere.

I tredicimila residenti (8mila aventi diritto al voto) dell’insediamento costiero della provincia meridionale cinese le chiedevano da mesi, dopo aver cacciato lo scorso dicembre la “cricca” di burocrati del partito che li amministrava, accusata di aver confiscato terreni ai residenti del villaggio per venderli illegalmente ad alcuni speculatori. Un tira e molla di settimane con i piani alti del governo centrale. Poi Pechino dice sì e Wukan risponde con un evento politico straordinario che più che una chiamata alle urne assomiglia a una festa. Il cortile della scuola elementare è un mosaico di piccoli cubicoli elettorali, allietati dagli ombrelloni colorati rubati ai cortili del villaggio per allestire le sezioni di voto autogestite da un gruppo di cento nomi frutto della mediazione dell’intellighenzia del partito comunista con i leader dei rivoltosi. Wukan la testa calda, città dell’assedio, riscopre le code ordinate come vuole la buona educazione orientale. Sui volti si leggono però sorrisi luminosi mai visti. Questa è una vittoria storica.



Le elezioni di Wukan sono considerate un raro esempio di democrazia nella Repubblica in cui il Partito Comunista mantiene da 60 anni un monopolio inscalfibile sull’attività politica. “Prove” di indipendenza, sono state definite. E di prove pur sempre si tratta, perché Pechino ha saputo giocare le sue carte d’anticipo. A gennaio, dopo mesi di fuoco, le autorità provinciali avevano riconosciuto la legittimità delle contestazioni e nominato il leader Lin segretario della sezione locale del Partito di Mao. L’outsider diventava un quadro dell’ingranaggio politico orientale. Era il superfavorito (“Sono contento del voto, come mi sembrano contenti i miei compaesani”, aveva dichiarato prima della vittoria), ha sbaragliato gli avversari e nelle prossime ore si saprà quali di questi andranno a occupare le altre cinque poltrone del collegio amministrativo.

C’è chi, a sorpresa, non ci spera. È Xue Jianwan, la “Marianna” di Wukan. Suo padre, Xue Jingbo, in prima linea durante le contestazioni, a dicembre era stato picchiato a morte in prigione dopo l’arresto. La ragazza ha ammesso di sperare di vincere, “perché sulla mia famiglia ci sono forti pressioni”. E sono ancora molti gli interrogativi intorno alla tragica fine del manifestante. Zhuang Liehong (anch'egli un manifestante) invece guarda già oltre le urne: “Le elezioni sono un primo passo. Poi dovremo pensare a recuperare le nostre terre”. Quelle stesse senza le quali il 3 marzo di Wukan non ci sarebbe mai stato.

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