Twitter lancia la sfida al microblog di Sina
Pronta per Pechino la versione censurata


	
Il presidente esecutivo della più nota piattaforma di microblogging del Dragone fa resistenza al giro di vite imposto da Pechino. E a farle la corte accorre il portale americano censurato nel 2009. Che ha messo gli occhi sui 513 milioni di internauti del Paese di Mezzo
I loghi di Sina Weibo e di Twitter


Il presidente esecutivo della più nota piattaforma di microblogging del Dragone fa resistenza al giro di vite imposto da Pechino. E a farle la corte accorre il portale americano censurato nel 2009. Che ha messo gli occhi sui 513 milioni di internauti del Paese di Mezzo



di Luca Zorloni (左 露珂)

Pechino, 1 marzo 2012 – La grande muraglia della censura cinese sul web comincia a scricchiolare. Dall’interno. Dai piani alti di Sina.com, la società di informatica che il 14 agosto 2009 ha lanciato la piattaforma di microblogging più diffusa nel Paese di Mezzo: Sina Weibo. Un mix tra Facebook e Twitter. Il social network del Dragone. Per essere iscritti al quale, dallo scorso dicembre, è necessario registrarsi con il vero nome. Stop all’anonimato. Finora aveva garantito ai profili del portale di microblogging di esprimere opinioni in contrasto rispetto alla voce ufficiale di Pechino. Che ha deciso di darci un taglio. Per Charles Chao, presidente di Sina.com, si tratta di un autogol del governo: secondo le statistiche del provider infatti, dall’introduzione del nuovo provvedimento il 40% dei nuovi iscritti non ha superato i controlli sulla veridicità delle informazioni. In sostanza sono stati rimbalzati dalla piattaforma più social al di qua della grande muraglia. Conseguenza: Sina Weibo teme un tracollo dell’attività.

Chao non sopporta l’idea di ruzzolare indietro dopo che, da gennaio a novembre 2011, Sina Weibo ha raddoppiato il numero di iscritti rispetto ai numeri dei primi due anni, arrivando a 300 milioni di persone e 2 milioni circa di pubblicazioni al giorno. “Non siamo in grado di garantire che in futuro non ci siano controlli ancora più severi – ha spiegato il presidente esecutivo – e questo potrebbe avere un impatto negativo sia sui nostri utenti sia sulla nostra attività”. Leggi: una migrazione di massa verso un sito concorrente. Un “suicidio” collettivo dal portale e via con una nuova vita su una piattaforma disposta ad accettare le condizioni delle autorità per le telecomunicazioni. Non sarebbe la prima volta.

Sina Weibo è nato proprio così. Luglio 2009: a Urumqi, capitale della provincia dello Xinjiang, scoppiano le sollevazioni della popolazione degli uiguri. La protesta rimbalza sul web, così Pechino risponde azzerando numerosi siti locali di microblogging (Fanfou, Jiwai, Digu e Zuosa) e alzando un muro verso l’esterno (censurati Twitter, Facebook e Plurk). Per settimane in Cina migliaia di utenti del web restano senza un portale dove bazzicare e quando Chao, che ha fiutato l’affare, spalanca loro le porte di Sina Weibo, viene salutato come un salvatore della patria, anche se il portale nasce sotto la vigilanza più rigorosa del governo. Ma l’ennesimo giro di vite sarebbe insostenibile. Sina Corporation dovrebbe incassare una perdita di denaro che il numero uno del provider non quantifica, ma che certo metterebbe a rischio i 289 milioni di dollari che secondo la rivista americana Forbes la società ha guadagnato nel 2010.

Le scalpitanti esternazioni di Chao potrebbero non piacere alle guardie della great firewall del web cinese, ma gli internauti del Paese di Mezzo possono dormire sonni tranquilli perché si è già fatto avanti un candidato disposto a insidiare il primato della società di Pechino: Twitter. L’uccellino a stelle e strisce, ostracizzato nel 2009 proprio a causa dei tweet sulle rivolte degli uiguri, sarebbe disposto a fare un passo indietro e ad adottare una politica di censura ad hoc per la Cina. Nelle scorse settimane il colosso di San Francisco ha annunciato di aver avviato lo studio per una tecnologia che filtri i tweet dei 500 milioni di utenti che attualmente sono iscritti e che selezioni le informazioni in base alle leggi di ogni stato. Differenti facciate di Twitter a seconda dell’angolo di mondo da cui ti connetti. Per la creatura di Jack Dorsey non c’è niente di strano. “Man mano che cresciamo a livello internazionale, andiamo in paesi con differenti posizioni in materia di libertà di espressione – dichiara l’azienda in una nota – e alcune nostre idee differiscono così tanto che non potremmo esistere in determinati luoghi”.

Twitter ci tiene a precisare che il post “incriminato” non sarà rimosso automaticamente, ma bloccato nel flusso di messaggi del Paese in cui viola la libertà di espressione e lo stop sarà segnalato al suo estensore. Il colosso del microblogging argomenta la decisione portando a esempio il divieto di propaganda antisemita e neonazista in Germania e Francia e la necessità di tutelare i propri dipendenti, che potrebbero rischiare il carcere per aver lasciato correre 140 caratteri “esplosivi”. Ma al popolo del web il ragionamento di Jack Dorsey & co suona come una scusa e la nuova tecnologia una strategia per rassicurare la Cina e conquistare un mercato di 513 milioni di internauti e oltre 250 milioni di blogger (secondo i dati 2011 del China Internet Network Information Center). Su Twitter è bufera. Ai Weivei, il noto artista dissidente cinese, ha così commentato la notizia: "Se Twitter inizia a censurare, smetterò di cinguettare". Un post in ideogrammi che il popolo del web ha ritwittato a velocità lampo ai quattro angoli del globo. Per ora la partita è tutta da giocare. L’uccellino americano deve giocare tutte le sue carte per temperare la protesta dei suoi utenti e allo stesso tempo convincere la Cina, che l’ha già allontanato una volta. Sina Weibo, al contrario, gioca in casa: ha già detto sì una volta alla censura del governo per accaparrarsi l’esercito dei blogger del Paese di Mezzo. Basteranno i suoi 300 milioni di “fan” per contrastare le ambizioni di Pechino o dovrà piegarsi una seconda volta?

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