E se l’iPad fosse made in China?
Battaglia legale contro la Apple per il marchio


	
La Proview International Holding rivendica la paternità del nome e chiede all'azienda di Cupertino di ripagarle i danni per aver utilizzato il brand. La multa dei tribunali cinesi potrebbe arrivare a 200 milioni di euro
Un fan cinese esce dall’Apple Store con due nuovi iPad


La Proview International Holding rivendica la paternità del nome e chiede all'azienda di Cupertino di ripagarle i danni per aver utilizzato il brand. La multa dei tribunali cinesi potrebbe arrivare a 200 milioni di euro



di Luca Zorloni (左 露珂)

Pechino, 7 febbraio 2012 – E se l'iPad fosse made in China? Non l'apparecchio – quello si sa già – ma il brand. Secondo Pechino esiste la possibilità che il nome sia invenzione del Dragone e non del genio di Steve Jobs. Così, per fare luce sulla paternità di uno marchi più fortunati al mondo, l'Authority per il Commercio e l'Industria della capitale ha aperto un'inchiesta per violazione del copyright e messo sotto inchiesta la Apple, rea, secondo le accuse, di aver copiato un brand depositato nel 2001 da una ditta cinese. Si tratta della Proview International Holding. Potrebbe arrivare a incassare 200 milioni di yuan (20 milioni di euro) dalla multa che i tribunali cinesi sarebbero intenzionati a infliggere alla società della mela. Apple non si sbilancia, né rivela se ha subito perdite sul mercato cinese. Ma cresce l'attesa per la sentenza: uno dei tribunali coinvolti nell'inchiesta, la corte di Shanghai, dovrebbe emettere una sentenza già il prossimo 22 febbraio.

Il caso internazionale origina da un cavillo burocratico. Nel 2001 la piccola Proview registra i marchi iPad e IPAD. Questioni di maiuscole e minuscole che fanno la differenza nelle terre del copyright. E la società non si accontenta di assicurarsi la paternità al di qua della Grande Muraglia, ma secondo le autorità di Pechino, tra il 2000 e il 2004 la divisione a Taipei brevetta il brand anche in Corea del Sud, Messico, Singapore, Indonesia. Persino dietro il deposito in Unione Europea ci sono i cinesi.

Nel febbraio del 2010 l'affare: la filiale taiwanese della Proview stipula un contratto con Apple, che a marzo ha programmato il lancio del tablet. I californiani acquistano per 1,21 miliardi di euro i diritti del marchio dai cinesi attraverso un'azienda, la Ip Application Development, con sede in Gran Bretagna. La licenza è però valida solo sul territorio dell'isola orientale e non sul continente, poiché, secondo la linea di difesa dell'azienda, l'atto è stato sottoscritto da un ausiliario della proprietà cinese e non dalla società stessa, che ha sede a Hong Kong. Con queste motivazioni lo scorso dicembre il tribunale di Shenzhen ha condannato il colosso di Cupertino, che ha subito presentato ricorso. La Proview è passata al contrattacco appellandosi ai giudici delle città nelle quali si vende il tablet della mela, tra cui la stessa Shenzhen, Pechino, Shanghai e Huizhou, chiedendo di vietare il commercio dell'apparecchio hi-tech in Cina e un risarcimento per i danni subiti.

La multa, che secondo gli ultimi calcoli si aggirerebbe intorno a 31 milioni di dollari, è una cifra astronomica (sebbene a ottobre si fosse parlato di 1,5 miliardi di dollari di risarcimento), ma le autorità commerciali precisano che difficilmente sarà comminato il massimo della pena e la corte della provincia di Guangdong stabilirà il risarcimento in base al volume di affari di Apple. Ergo una somma niente male, se si considera che nel solo secondo trimestre 2011 la società californiana ha ottenuto in Cina una quota di mercato pari al 74% dei tablet venduti. I giudici dovranno fare i conti con l'opinione pubblica di un paese che ha fatto dei prodotti Apple uno status symbol imprescindibile e di Steve Jobs un guru da venerare. Se la condanna arriverà sarà dura lex. Sed lex.

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