La Cina si compra l’acqua del Tamigi
Un fondo sovrano alla conquista di Londra


	
  La China Investment Corporation è diventata proprietaria dell'8,68 per cento della Thames Water, la holding che controlla i servizi idrici della capitale britannica. E' il primo affare della nuova strategia di investimento della Repubblica Popolare: comprare le vecchie infrastrutture europee e scalare le società che le controllano.
Una vista del Tamigi a Londra


 

La China Investment Corporation è diventata proprietaria dell'8,68 per cento della Thames Water, la holding che controlla i servizi idrici della capitale britannica. E' il primo affare della nuova strategia di investimento della Repubblica Popolare: comprare le vecchie infrastrutture europee e scalare le società che le controllano.



di Luca Zorloni (左 露珂)

Pechino, 21 gennaio 2012 – Dio salvi la regina, la Cina il Tamigi. La China Investment Corporation, fondo sovrano di Pechino dotato di un portafoglio di 410 miliardi di dollari, ha comprato una partecipazione dell'8,68 per cento in Thames Water, la holding che controlla il sistema idrico che serve la capitale britannica. Si tratta della più grande compagnia dell'oro blu delle dieci accreditate tra Inghilterra e Galles: la Thames Water infatti gestisce le fognature di 14 milioni di clienti e le forniture di acqua per altri 8 tra Londra e la valle del fiume.

La stampa inglese ha dato grande rilievo alla partecipazione nella società londinese: si tratta del primo affare messo a segno dagli investitori cinesi dopo la missione a Pechino di George Osborne, cancelliere dello Scacchiere del governo britannico, che ha sollecitato il Paese di Mezzo a foraggiare le infrastrutture della vecchia Albione. Dopo meeting con Lou Jiwei, presidente della China Investment Corporation, e presso la Industrial e Commercial Bank of China, il più grande istituto di credito mondiale per capitalizzazione azionaria, Osborne è rientrato a Londra dicendosi “soddisfatto dell'esito dei colloqui”.

Così anche Pechino. Da tempo i tecnici delle finanze della Repubblica Popolare Cinese avevano espresso riserve sui guadagni poco flessibili derivati dall'acquisto di bond dei governi occidentali e si erano messi a fiutare forme di investimento più succulente. E quale miglior occasione se non le infrastrutture del vecchio continente, che abbisognano di una decisa mano di vernice? La strategia è semplice. Lo stesso Lou aveva scritto al Financial Times lo scorso novembre prospettando affari “fifty-fifty”: l'Europa sfrutta i capitali orientali per aggiornare le proprie infrastrutture e la Cina scala posizioni e guadagna poltrone nei cda di società e consorzi che le controllano. Proprio la terra di Albione sarebbe stata, con la sua mentalità “aperta”, la piazza migliore per debuttare.

E così è stato. La Cina si compra l'acqua del Tamigi, i tubi funzionano oliati dallo yuan. La Thames Water era già una società a capitale straniero, benché il suo maggiore azionista, un consorzio guidato dalla banca australiana Macquarie, sia parte del Commonwealth. L'istituto oceanico nel 2006 ha rilevato la società per 8 miliardi di sterline (di cui 4,8 in cassa e 3,23 di debiti) dal gruppo tedesco RWE, battendo le offerte di altri due contendenti, tra cui una cordata guidata dalla Qatar Investment Authority. Macquarie ha mantenuto il massimo riserbo sulla transazione finanziaria, così come la China Investment Corporation, che ha precisato di aver concluso l'acquisto tramite una filiale di piena proprietà ma non ha lasciato trapelare il dettaglio più importante: quanto è costata a Pechino l'acqua della regina.

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