Pechino, 4 ottobre 2012 – Per la prima volta dalla sua fondazione, il Museo dell’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino (CAFA Art Museum) con sede nell’avveniristico edificio progettato da Arata Isozaki ospita la mostra personale di un artista italiano: il maestro del disegno contemporaneo, Omar Galliani.
“Il Maschile, il Femminile, il Sacro: Omar Galliani in dialogo con la tradizione del disegno” è stata organizzata con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di Pechino e il contributo di enti italiani e stranieri, a cura di Manuela Lietti. L’esposizione si compone di opere nuove per il pubblico cinese, nonostante Pechino abbia già ospitato lavori di Galliani in varie occasioni nel corso degli anni.
La mostra è aperta al pubblico presso il CAFA dal 14 settembre al 7 ottobre 2012.
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Pechino, 4 ottobre 2012 – Che le città cinesi siano molto affollate è ormai proverbiale e chiunque abbia mai visitato Pechino o camminato sul Bund di Shanghai avrà familiarità con le code chilometriche davanti alle biglietterie delle attrazioni turistiche del Dragone. La “Settimana d’oro”, organizzata dal governo cinese in occasione delle festività nazionali per favorire i consumi interni grazie a viaggi e visite turistiche, ha moltiplicato la presenza di visitatori ai principali musei e monumenti della nazione.
Così, centinaia di milioni di turisti hanno affollato la Grande Muraglia, mentre la Città Proibita è stata vista da 182mila persone nella sola giornata del 2 ottobre.
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La prestigiosa collezione degli antiquari Laura contiene più di 1200 esemplari della tradizionale porcellana cinese. La raccolta si trova nella loro Villa San Luca di Ospedaletti, oggi in gestione al Fai
di Valeria Gazzoni
Milano, 22 settembre 2012 – Una prestigiosa collezione privata, nata dalla passione di Luigi Anton Laura e Nera Laura e dal loro lavoro di antiquari iniziato negli anni Cinquanta, è diventata visitabile al pubblico grazie all’operato del Fai, Fondo italiano per l’ambiente. Tra gli infiniti oggetti dal valore inestimabile raccolti nella Villa San Luca di Ospedaletti (Imperia), destinata a diventare un bene del Fai, frutti della vita e professione dei coniugi Laura, vissuta tra Europa e Asia, numerose sono le ceramiche antiche di produzione cinese.
Un catalogo delle ceramiche più importanti e più rappresentative della collezione è stato compilato da Luisa Elena Mengoni, curatore di Arte Cinese presso il Victoria and Albert Museum, Rose Kerr, direttore del Dipartimento Asia dello stesso museo londinese, e Manuele Scagliola, storico dell’arte. Il volume nato dalle loro ricerche, “Le ceramiche dell’Asia orientale della Collezione Laura”, edito da Allemandi & C., è stato presentato lo scorso lunedì 17 settembre a Milano presso Villa Necchi Campiglio, splendida residenza in gestione al Fai.
Lucia Caterina, docente di archeologia e storia dell’arte cinese presso l’università l’Orientale di Napoli, ritiene la Collezione Laura una delle più importanti nel panorama italiano. I circa 1200 manufatti, di tutte le tavolozze della creatività artigianale del dragone (tra le più importanti, Famiglia Verde, Blanc de Chine, Bianco e Blu) sono diversi da quelli di molte collezioni museali del nostro paese. Ciò che li contraddistingue è la loro provenienza: per la maggior parte sono pezzi d’arte provenienti da navi della Compagnia delle Indie Olandesi, naufragate nel Settecento, e prodotte nella cittadina cinese di Jingdezhen (景德镇, ancora oggi famosa per la produzione di ceramiche) su commissione di ricchi compratori europei. Proprio in quel secolo si diffondeva nel Vecchio Continente la passione per gli oggetti cinesi, in particolare le porcellane, minuscole, esposte in “gabinetti” per cineserie.
Ma ciò che davvero rende speciale la Collezione Laura è la partecipazione delle ceramiche alla vita vissuta dei loro proprietari, alla loro quotidianità. Chi ha avuto la fortuna di visitare Villa San Luca e di conoscere Luigi e Nera Laura, racconta di come i proprietari utilizzassero spesso questi oggetti che, per quanto antichi e preziosi, non erano entrati nella loro casa per essere solamente esposti come reperti da museo. Ma i manufatti della Collezione Laura sarebbero del tutto degni di apparire in una teca del Victoria and Albert Museum.
Luisa Mengoni spiega come il valore di questa meravigliosa raccolta sia paragonabile a quello delle grandi collezioni europee, in quantità e soprattutto qualità degli oggetti. Quanto all’impatto sul visitatore, la curatrice ritiene che Villa San Luca, in quanto casa-museo, rimasta invariata rispetto agli anni in cui era abitata dai coniugi Laura, si rivolga con maggiore sensibilità allo spettatore, priva delle imposizioni nate dalle scelte espositive all’interno di un museo. Curioso è pensare che le porcellane cinesi siano in questi anni diventate oggetto di “auto-collezionismo”: da sempre ritenute “minori” dagli studiosi cinesi, che gli preferivano i manufatti delle collezioni imperiali, le ceramiche prodotte nei secoli scorsi per l’esportazione sono ora molto ricercate anche dai musei nazionali del Dragone.
Villa San Luca custodisce un corpus di 6000 opere d’arte, ognuna scelta e acquistata dai coniugi Nera. La residenza fa parte dei beni del Fai dal 2001 ed è ora visitabile su appuntamento.
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Pechino, 19 settembre 2012 – Da Beijing South Railway Station a Beijing Nan. Qual è l’indicazione più semplice? I sempre più numerosi viaggiatori stranieri in Cina dovranno presto destreggiarsi con nomi delle stazioni ferroviarie totalmente in cinese. Infatti, a partire da questo mese ad indicare le stazioni ci saranno solo caratteri e pinyin (il sistema di trascrizione della lingua cinese in lettere latine) mentre il consueto mix con l’inglese sarà abbandonato. In particolare, il punto cardinale che spesso ne caratterizza il nome dovrà sempre essere espresso in pinyin.
La notizia ha subito sollevato molte polemiche e su Sina Weibo, il twitter cinese, sono già moltissimi coloro che hanno espresso la propria opinione in merito. Diversi quelli favorevoli al cambiamento, che sostengono essere più rispettoso della lingua cinese, mentre altri hanno messo in dubbio l’utilità della cosa, sottolineando al contrario come possa diventare ancora più difficile la comprensione delle insegne e degli avvisi nelle stazioni per persone che non conoscono il cinese. Come Gong Yu, 26enne della capitale, che ha commentato la notizia al China Daily affermando: “Non è adatto a una città internazionale tradurre i nomi delle stazioni in soli caratteri locali che non hanno nessun senso per i turisti stranieri. E non capisco per quale motivo hanno deciso di introdurre questi cambiamenti proprio ora”.
Nessuna modifica, almeno per ora, è prevista invece nelle indicazioni delle stazioni della metropolitana. Secondo quanto ha detto alla televisione cinese Yang Quanhong, professore di linguistica presso l’università degli studi internazionali della provincia meridionale del Sichuan, poiché il pinyin è il sistema ufficiale per trascrivere i caratteri cinesi ed è ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite, la decisione del Ministero è da ritenersi giusta in quanto aiuta a promuovere la cultura cinese. Yang ha tuttavia ammesso che per gli stranieri questo provvedimento sarebbe più utile se accompagnato dalla traduzione in inglese.
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Con lo sviluppo della classe media nel Dragone si apre un mercato per i nuovi brand italiani a prezzi contenuti. Si apre uno spazio per le piccole medie imprese del settore, pronte a seguire le orme delle case di moda più affermate
Di Luca Zorloni (左露珂)
Milano, 10 settembre 2012 – La remota Cina dove il gotha della moda italiana impiantava le produzioni di capi da vendere in patria è una pagina di storia ingiallita. Il Dragone del terzo millennio è goloso del lusso più sfrenato e allestire un pantagruelico banchetto può essere l’occasione che il fashion business tricolore aspettava per uscire dalle secche della crisi internazionale. Il parere degli esperti è unanime: tracciare una via della Seta – reale e virtuale – per esportare il made in Italy in un mercato da 1 miliardo e 300 mila persone, delle quali un milione è milionario.
La bussola della moda punta a Oriente, come è emerso dal Milano Fashion Global Summit, incontro degli specialisti del settore in scena a Palazzo Mezzanotte venerdì 7 e sabato 8 settembre e dedicato proprio ai sistemi moda dei due paesi. I dati economici sono confortanti. Come ha spiegato Du Yuzhou, presidente onorario del China Textile and Apparel Council, il Belpaese “ha registrato un aumento delle esportazioni verso la Cina del 20%, che invece ha segnato un calo del 20% verso l’Europa a causa della crisi”.
Nonostante un rallentamento della locomotiva orientale, il cui Pil quest’anno crescerà del 7,6%, “la spesa pro capite per l’abbigliamento tra la popolazione urbana è aumentata del 14,17%. Indica un maggiore potere d’acquisto per i vestiti”. Sia in madrepatria sia all’estero. In Italia, riferisce il presidente della Fondazione Italia-Cina Cesare Romiti basandosi su un ricerca del proprio istituto, i turisti del Dragone spendono in media “11mila euro per ogni viaggio e nei prossimi anni il giro di affari sfonderà un miliardo di euro”. Guardando al di là della Grande Muraglia invece, Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda italiana, spiega che oggi il motore del colosso orientale è proprio la domanda interna e il lusso traina gli altri settori. “Nel 2011 i consumi sono cresciuti del 9,7%, gli investimenti del 10,5%, mentre le esportazioni sono scese di 9,4 punti percentuali”.
La novità è che la febbre da shopping contagia anche il ceto medio “e si aprono perciò spazi commerciali per le piccole e medie imprese italiane che producano brand meno conosciuti ma ben fatti e venduti con prezzi abbordabili”. Largo anche al tessile. “Fatta 100 la quota di esportazioni del settore dall’Italia alla Cina – prosegue Boselli –, nel 2011 siamo passati a 185, contro i 76 verso l’Europa”. “I cinesi sono cambiati – spiega Zhou Yan, presidente di Dalian Sunfed Fashion Co. –. Nel loro tempo libero sono passati dall’acquisto di oggetti per la casa a quello di indumenti”. La lezione è chiara ai vertici di Furla: il ceo Eraldo Poletto ha raccontato alla platea che per il lancio del nuovo concept store del gruppo “ha deciso di debuttare in Oriente: prima Hong Kong e la Cina, poi Macao e l’India”.
L’Europa resta un passo indietro. Paola Durante, direttore della divisione investimenti bancari di Merryl Lynch riferisce che secondo gli analisti la grande Cina, ovvero la madrepatria insieme a Macao e Hong Kong, attualmente detiene il 15% dei consumi mondiali di lusso e in tre anni potrebbe passare al 20%. E già nel 2012, secondo gli esperti, il titano d’Oriente potrebbe qualificarsi come il primo mercato al mondo del lusso, con una spesa settoriale di 14,6 miliardi di dollari. In cima alla lista dei desideri dei big spender cinesi: orologi e gioielleria, poi abbigliamento femminile e pelletteria.
Il Dragone è però goloso anche di sapere e dal Belpaese vuole importare le conoscenze che rendono invidiabile il made in Italy. Miao Hongbing, presidente di Beijing White Collar Co., spiega infatti: “Nel campo dell’abbigliamento l’Italia ha insegnato alla Cina il disegno dei modelli, la tecnica, l’esperienza dello shopping, la personalizzazione del prodotto e lo stile di vita”. Wu Jianmin, presidente di Shandong Showlong Fashion Co., consiglia agli imprenditori italiani “di frequentare di più i cinesi, per comprenderci meglio. Vi invito a guardare non alle metropoli principali, ma alle città di secondo livello”. Brozzetti, ceo di Roberto Cavalli, lancia invece ai piani alti di Pechino un’agenda per agevolare gli scambi commerciali: “Abbassare le tasse sulle importazioni, semplificare i processi di controllo e le operazioni bancarie, sviluppare una protezione della proprietà intellettuale da copie e falsi e facilitare i rilascio dei visti”.
Sul palco del palazzo della Borsa italiana i consigli delle case di moda nazionali che da tempo frequentano il Dragone. Saverio Moschillo, presidente di John Richmond, sottolinea l’importanza del copyright: “Siamo arrivati in Cina quindici anni fa. La prima cosa? Far registrare il marchio”. Diego Rossetti, presidente di Fratelli Rossetti: “Importante trovare un partner che si riconosca nella storia dell’azienda, cosicché i prodotti siano una conseguenza automatica”. Vittorio Missoni, ceo dell’azienda di famiglia: “Un passo falso stipulare accordi con varie società cinesi per aprire dei franchising, ora scommettiamo su un unico interlocutore”. Lavinia Biagiotti, vicepresidente del gruppo Biagiotti: “Nel 1988 la prima sfilata di mia madre in piazza Tiananmen. Oggi torniamo in Cina con una piattaforma per lo shopping online, che sarà pronta tra 6-9 mesi. Nel 65% dei casi i netizen cinesi infatti prima di fare un acquisto si informano sul web”. E Cleto Sagripanti, presidente nazionale dell’Associazione nazionale calzature italiane, lamenta il fatto che nel nostro paese “non si trovano giovani disposti a trasferirsi per qualche tempo in Cina per seguire l’avvio sul mercato orientale delle nostre pmi”.
All’architetto Italo Rota le parole conclusive sulla staffetta all’Eldorado cinese. “Il lusso è diventato l’accessorio, un luogo della mente. Conserviamo tutto, accumulando negli armadi, straordinari scrigni. Ma lusso è anche l’idea di avere spazio per i nostri piaceri, tempo per usare le cose che ci piacciono, capacità di movimento”. Il tema del lusso è cruciale, spiega Rota, “per culture millenarie come quelle italiana e cinese, che dovranno decidere del valore del loro passato. Serve moltissima creatività per ristabilire un’autonomia di queste culture dai modelli internazionali”. Il cammino è lungo: Rota, come interpreta lo sviluppo della Cina? “Penso che i veri cambiamenti si facciano dando un contributo reale alla vita del pianeta. La Cina deve capire come un 1 miliardo e 300 mila persone possa continuare a produrre migliorando il pianeta”.
Due domande a… Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda italiana
Come interpreta i segnali di recessione della moda italiana e che ruolo gioca Cina in questo quadro economico?
“Il nostro centro studi per quest’anno ha calcolato un calo di fatturato delle imprese del fashion nel 2012 del 5,2%. Non mi sembra tragico perché compensa l’avanzamento del 2011 e ci riporta al livello del 2010. Inizialmente si prevedeva un calo del 5,8%: io mi aspettavo peggio, firmerei subito questo stato. Certo il 2013 deve essere un altro film. La Cina con qualche problema è un mercato attrattivo”.
I brand più famosi sono da tempo in Cina, che finestre di ingresso ci sono oggi per i nuovi?
“La fascia alta dei brand è in Cina bene e funziona. Molti dei buoni risultati sono proprio dovuti al mercato cinese. Ora cresce una classe intermedia e cosa consuma? Non compra lusso, ma vuole comprare meglio e quello è il nostro spazio: produrre nuovi brand a prezzi ragionevoli”.
Le pmi sono preparate?
“Hanno un problema di dimensione, ma danno lavoro a 650mila addetti. Per arrivare in Cina serve un rapporto con le istituzioni”.
L’attenzione al mercato cinese provocherà un’evoluzione del gusto della moda nostrana?
“Non direi. Copiano il modello italiano, non dobbiamo inventare nulla di nuovo”.
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